Gasperina: storia e tradizioni

Gasperina è un paese della provincia di Catanzaro che si affaccia sul mar Jonio. È composto da un centro storico, situato in collina a 500 metri circa sul livello del mare, e da alcune frazioni marine. La posizione geografica rende Gasperina particolarmente suggestiva; dista 7 km dal mare e 10 minuti d’auto dalle Preserre calabresi. L’ottima posizione geografica la proietta sull’azzurro Mar Jonio, facendola divenire una “terrazza sul mare” dalla quale poter ammirare un panorama bellissimo, unico, mozzafiato, che va da Punta Stilo a Capo Rizzuto. Gasperina offre spunti interessanti nell’ambito delle risorse naturalistiche, artistiche ed architettoniche. Essendo stata per molto tempo sotto la giurisdizione certosina, conserva ancora testimonianze vive di questa presenza.
Le chiese, i palazzi, i portali, gli antichi rioni (i rughi) sono una valida attestazione di bellezza. Rilevante per l’ottima qualità è la produzione vinicola, che nasce da un insieme di maestranze competenti, di qualità dei terreni, di esposizione climatica e dell’utilizzo di alcuni vitigni. Come tutti i centri calabresi, anche questo ha subìto una massiccia emigrazione verso le Americhe (U.S.A. e Argentina), l’Europa e il resto d’Italia.

La storia

Risalgono a tempi molto antichi le origini di Gasperina, denominato un tempo Gasparina e ancor prima Gasparrina. La fonte in cui il toponimo è menzionato per la prima volta è una carta normanna del 1091, mentre il casale di Aurunco, oggi contrada Aurunci (I Runci), è citato nel 1094. Dal 1098 il monastero di San Giacomo, i casali di Montauro, di Oliviano, e il territorio del casale di Gasperina, furono donati dal normanno Ruggero d’Altavilla al monaco Bruno, fondatore della Certosa calabrese. La cosiddetta Tenuta di Gasperina, collocata nel versante verso la marina, rimase invece alla chiesa di Mileto. In quel periodo il casale di Gasperina era distrutto, ricomparve edificato nel secolo seguente.
Nel 1221-1222 i villani di Aurunco, Montauro, Oliviano e Gasperina, contestarono la giurisdizione della Certosa sui loro casali. Per tal motivo rischiarono di essere condannati a morte da Federico II di Svevia il quale, alla fine, li sanzionò col pagamento di 5000 tarì d’oro.
Oliviano e Aurunco apparvero estinti nel basso medio evo. Gasperina e Montauro appartennero alla Certosa fino al sec. XVIII, con l’esclusione del periodo 1497-1542 in cui i Borgia di Squillace arbitrariamente li annessero al loro principato.
In passato fu frequente il pericolo proveniente dal mare. Circa tremila turcheschi il 6 luglio 1645 dalla marina di Squillace giunsero a Stalettì, Montauro e Gasperina, saccheggiandoli e incendiandoli. Entrarono pure nella grangia di Sant’Anna, rovistandola. Di contro, alla fine di quel secolo, nel 1693, San Vito, Gasperina, Montauro, la grangia di Sant’Anna, furono tra i luoghi che l’abate Pacichelli visitò nel suo viaggio in Calabria.
Un sacerdote, don Bruno Procopi, fondò nel 1764 a Gasperina il Monte Frumentario o Monte Granario, completato l’anno seguente dal nipote don Giuseppe Giovanni Procopi, suddiacono.
La Calabria meridionale nel 1783 fu gravemente ferita da un forte terremoto che a Gasperina provocò danni e nove morti. Devastò anche la grangia di Sant’Anna.
Sempre nella seconda metà del sec. XVIII, la contrapposizione tra illuministi e conservatori investì anche Gasperina. Al volume Lira focense dell’abate illuminista Antonio Jerocades di Parghelia il sacerdote gasperinese don Francesco Spadea rispose con la sua Antilira focense e con la Lettera all’abate Antonio Jerocades. Nello stesso periodo, inoltre, lo Spadea contestò anche l’abate illuminista Gregorio Aracri di Stalettì. Alla fine del ‘700 Gasperina fu tra i paesi che si opposero alle nuove idee repubblicane. Giovanni Celia e Vincenzo Spadea erano capi massa nell’Armata sanfedista del cardinale Fabrizio Ruffo di Calabria.
Alla lunga appartenenza alla Certosa, seguì, nell’800, il rientro di Gasperina e Montauro nella diocesi di Squillace. Nel medesimo secolo, come nel precedente, il centro gasperinese visse i fermenti di quel tempo.
Si era già nel decennio francese, 1806-1815, quando una nutrita guarnigione di soldati d’oltralpe a Gasperina provocò dieci morti e devastò la chiesa madre. Al comando del generale Gavignac, centinaia di militari francesi irruppero nei locali del Monte Frumentario insediandosi.
Ancora un locale sacerdote, don Saverio Spadea, si distinse nella comunità del luogo. Svolse un ruolo rilevante nell’istituzione della Scuola Normale a Gasperina, era il 1808.
Nel 1807 Gasperina era capoluogo di circondario. Con la suddivisione del 1811 in province, distretti e comuni, il circondario di Gasperina comprese, oltre che il capoluogo, i comuni di Montauro, Montepaone, Centrache, Olivadi, Petrizzi e Soverato.
Dopo il decennio francese e l’uccisione del re di Napoli Gioacchino Murat, il meridione viveva la tensione generata tra sentimenti filo borbonici e sentimenti liberali. Numerosi paesi, tra questi Gasperina, erano avvelenati da un clima di diffidenza, mirato a scovare spie antiborboniche e punirle con la forca.
Col fenomeno del brigantaggio, nella seconda metà nell’800 pure Gasperina ebbe i suoi briganti rinomati che seminarono paura e morte: Ferdinando Janni, Nicola Macrina e Vincenzo Macrina.
Uno dei caratteri identitari della comunità gasperinese fu il teatro. Si serba ancora memoria di rappresentazioni teatrali di fine ‘800. Tuttavia la realizzazione di una struttura teatrale, dalla capienza di 150 posti circa, si ebbe negli anni ’20 del ‘900. In seguito fu adibita a cinema.
Gasperina fu sede dell’ufficio del registro, dell’ufficio di leva, nonché di pretura e di struttura penitenziaria. Le ultime due furono soppresse negli anni ’60 del ‘900.
A partire dalla fine dell’800 la demografia del paese è stata fortemente segnata da una massiccia emigrazione e nella seconda parte del ‘900 ha contribuito a ciò pure l’evoluzione dei sottostanti centri marini.

‘A nchjanata

‘A nchjanata (la salita) è la processione che, la sera del 14 agosto di ogni anno, accompagna la statua di Maria Ss.ma dei Termini dal santuario a Lei dedicato fino alla chiesa parrocchiale di San Nicola vescovo, ubicata nel centro di Gasperina.
La statua della Madonna viene collocata su un carro adeguatamente addobbato con fiori e trainato da un trattore. Fino a qualche decennio fa il carro veniva trasportato da buoi.
A nchjanata rappresenta un momento di profonda devozione alla Madonna e un motivo di forte identità che i gasperinesi ritrovano in questa manifestazione particolarmente suggestiva. Non a caso, per onorare Maria Ss.ma dei Termini, molti emigrati il 14 agosto di ogni anno fanno ritorno nella loro Gasperina.

‘A pacchjana

A pacchjana, fino a qualche decennio fa, era il costume tipico della donna gasperinese.
Il vestito veniva costituito da una semplice camicia, bianca e ricamata; poi si metteva, dal petto in giù, un panno rosso col bordo di velluto e ricamato (se rientrava nelle possibilità) per le donne sposate, mentre per le donne non sposate il panno poteva essere di altri colori (blu, verde…); sul petto veniva stretto un busto (anch’esso poteva essere nero, blu, verde…) e del medesimo colore del busto vi erano le maniche; sotto al busto veniva indossata una gonnella (‘a gunneḍa), nera o a fiorellini, e poi ‘u haddala; sulla testa c’era un copricapo (‘a tuvagghja) ed al collo ‘u galluna, una collana di velluto che, nel giorno del matrimonio ed agli otto giorni dallo stesso, veniva sostituito da ‘u scoḍu di seta; si portava anche ‘a saja (panno di lana, che poteva essere di diverse tonalità di marrone) oppure ‘u carpiteḍu, un panno colorato a strisce gialle e marroni e, a seconda delle circostanze, si usava l’una o l’altro; le scarpe erano nere o marroni e le calze potevano essere bianche, color carne o nere.
Il vestito non si presentava sempre allo stesso modo. Nel giorno del matrimonio o in altre circostanze importanti, la gonnella era di seta, mentre durante i funerali era di colore nero. ‘U carpiteḍu veniva usato in alcune occasioni particolari; mai con esso si partecipava ad un funerale o si entrava in chiesa, per entrambi i casi veniva indossata la saja.

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